Aumenta il numero dei paesi che “spengono” e bloccano Internet impedendo ai cittadini di comunicare. Ora le Nazioni Unite intervengono con una risoluzione
di ARTURO DI CORINTO
La risoluzione, nata per iniziativa di Stati Uniti, Svezia e Tunisia, fa seguito alle pressioni di 90 organizzazioni di 41 diversi stati che con la campagna KeepItOn hanno voluto richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui ripetuti blocchi della comunicazione Internet degli ultimi mesi: 15 nello scorso anno, 20 nella prima metà del 2016. Ne è nata una lettera aperta, indirizzata alle Nazioni Unite, nella quale è stato affermato come la libertà d’espressione su Internet sia un diritto umano fondamentale e come tale vada tutelato. Gli organizzatori della campagna, tra cui Articolo 19 e Access Now hanno sottolineato l’importanza dell’accesso alla rete per superare il digital divide e facilitare lo sviluppo sostenibile nella cornice di un’azione globale orientata a espandere la connettività alla rete Internet per favorire la cooperazione e l’istruzione attraverso il contributo di tutti.
Un approccio che è anche quello dell’Internet Governance Forum dell’Onu e delle associazioni come l’Internet Society, secondo cui ogni decisione riguardante la rete deve essere presa in un’ottica multistakeholder, ovvero coinvolgendo ogni portatore di interesse: dalle aziende ai singoli cittadini. Un approccio ribadito dall’Italia nella Dichiarazione per i diritti in Internet approvata con una mozione dalla Camera dei Deputati il 3 novembre scorso. L’iniziativa della società civile ha quindi trovato la sponda della Commissione per i diritti umani dopo avere coinvolto governi, aziende di telecomunicazioni e singoli utenti contro i blocchi di Internet che hanno interessato il Brasile, l’Iraq, l’India e poi la Malesia, il Ciad, la Corea del Nord ed altri paesi.
Access now, tra i maggiori sostenitori della campagna, ha dichiarato attraverso il suo portavoce la soddisfazione per questo risultato chiedendo agli Stati di fermarsi in tempo prima di ordinare altri blocchi, barriere e i colli di bottiglia alla libertà di comunicare online ricordando che “lo sviluppo sociale e i diritti umani vanno in tandem finché le reti di comunicazione sono aperte, sicure e stabili”, appellandosi anche ai giudici per porre fine a una pratica odiosa che rimane spesso impunita.
Il riferimento chiaro è ai recenti blocchi della rete decisi dal governo turco per impedire la diffusione, anche agli organi di stampa, delle notizie relative agli attentati di Istanbul, alle proteste censurate in Bahrain e al blocco di Internet da parte del governo algerino “per impedire che gli studenti copino durante gli esami”. Ma la condanna di questi comportamenti illiberali da parte degli attivisti non riguarda solo il passato: alcuni stati, come il governo del Ghana, hanno annunciato di volere impedire l’accesso ai social network proprio durante le prossime elezioni di novembre.
La decisione delle Nazioni Unite, che ribadisce il contenuto di due precedenti risoluzioni del giugno 2012 e del giugno 2014, si appoggia anche all’ultimo report dell’inviato speciale per la libertà d’espressione dell’Onu nel quale si enfatizza l’importanza dell’anonimato in rete e dell’uso della crittografia per proteggere le comunicazioni dei cittadini. Dopo avere superato le resistenze cinese e russa – che volevano una risoluzione più morbida e l’eliminazione di ogni riferimento alla libertà d’espressione “attraverso ogni mezzo e senza riguardo alle frontiere” (art 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) – la Commissione ha anche chiesto la fine dell’impunità per i responsabili di esecuzioni, arresti arbitrari e altri abusi commessi nei confronti di chi si esprime liberamente in rete.